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Cucina marchigiana: l’abc dei prodotti tipici della regione

Cucina marchigiana: l’abc dei prodotti tipici della regione
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Giovanni Battista Mariani
UN TERRITORIO CHE CUSTODISCE GELOSAMENTE TRADIZIONI E USANZE DEL PASSATO, RITUALI E PRATICHE DI UNA VOLTA, CUCINA COMPRESA: ECCO I PRODOTTI TIPICI DELLE MARCHE.

Quella marchigiana è una terra di sapori semplici, piatti poveri che al pescato fresco della costa coniugano le prelibatezze dell’entroterra. Una regione da sempre vocata alla piccola imprenditoria, fra botteghe, aziende agricole, casari, allevatori, apicoltori che hanno fatto la storia di questa terra. I prodotti più rappresentativi? Abbiamo cercato di radunarli qui.

I prodotti tipici delle Marche

Anicetti

L’anice è una delle piante più utilizzate nelle Marche per dolci e liquori. Ne sono un esempio gli anicetti, biscotti fragranti preparati solitamente con farina, zucchero, anice, latte e uova, anche se gli ingredienti variano a seconda della zona.

Biscotti del pescatore

Il nome viene dalla capacità di questi dolcetti di mantenere intatta la propria consistenza a lungo: non a caso erano i biscotti che i pescatori di Fano portavano con loro nelle traversate in mare. Per farli occorrono farina, uova, zucchero, burro ammorbidito, uva sultanina, lievito e frutta secca a piacere (solitamente noci, mandorle e pinoli).

Biscottini sciroppati di Fratte Rosa

Chiamati anche biscutìn, i biscottini sciroppati sono dei dolcetti tipici di Fratte Rosa, piccolo comune collinare a cavallo tra le valli del Metauro e del Cesano, in provincia di Pesaro-Urbino. Nascono durante la prima guerra mondiale, quando venivano spediti al fronte dalle famiglie marchigiane per rinfrancare i soldati della trincea. Si preparano con farina, uova e olio d’oliva.

Bostrengo

Bostrengo

Dolce antico chiamato anche frustingo, a seconda delle zone, e solitamente legato alle feste di Natale. Si tratta di una preparazione a base di frutta secca, pane raffermo ammollato in una sorta di brodo di fichi secchi e mosto cotto, cioccolato, olio, spezie e Mistrà all’anice, tipico liquore marchigiano.

Cacciannanze

Tipiche di Ascoli Piceno, sono delle focacce a base di pasta di pane, condite con aglio, rosmarino, sale, olio extravergine e cipolla (facoltativa), e “pizzicate” sui bordi esterni. La forma può essere rotonda o rettangolare (per saperne di più, Le focacce delle Marche).

Calcioni

Calcioni

Famosi nella loro versione dolce, con ricotta, zucchero e liquore, i calcioni sono una sorta di fagottelli presenti anche nella variante salata, ripieni di ricotta di pecora, formaggi e maggiorana. Tipici della zona di Treia, dove ogni anno vengono celebrati anche in una sagra dedicata, sono conosciuti anche con il nome di carciù, e vengono solitamente conditi con sugo di pomodoro.

Chichiripieno

Una focaccia farcita con peperoni rossi e gialli, olive verdi, alici, tonno, carciofini e a volte capperi, tipica di Offida.

Ciarimboli

Salume preparato a partire dalla membrana esterna che ricopre il budello, condita con sale, pepe, aglio e rosmarino e lasciata insaporire per 24 ore. Una volta asciutta, viene tagliata in fettine sottili, da gustare leggermente cotte.

Ciambella al mosto cotto

Ciambelle di mosto

Dolcetti profumati al mosto e l’anice, morbidi e compatti, preparati con latte e farina.

Ciambellone

Ciambellone

Viene preparato un po’ in tutta Italia, è il dolce tipico della colazione (Storia della colazione italiana) ma è particolarmente legato alla zona di Montefeltro: il ciambellone è un dolce povero che si prepara con pochi ingredienti, tipico della cultura contadina, in passato chiamato anche “il dolce delle folle”. Non esiste un’unica ricetta, ogni regione (e famiglia) ha la sua: c’è chi lo prepara con lo yogurt, chi con il burro e chi con l’olio, chi usa il latte e chi propone addirittura una versione all’acqua.

Ciauscolo

Ciauscolo

Salume spalmabile che gode della dicitura Igp, a base di carni di maiale impastate e insaccate in un budello naturale.

Ciavarro

Una volta specialità del 1° Maggio, il ciavarro – piatto tipico di Ripatransone – è oggi preparato tutto l’anno. Una ricetta “povera” perché a base di ingredienti di umili origini, ma in realtà ricchissima di sapore. Si tratta, infatti, di una zuppa fatta con 12 varietà di cereali e legumi: fagioli rossi, fagioli cannellini, fagioli borlotti, fagioli bianchi di Spagna, piselli secchi, ceci, fava, favino, cicerchia, lenticchie, grano e granoturco.

Cipolla di Suasa

Coltivata nell’area di Castelleone di Suasa e del limitrofo San Lorenzo in Campo, presenta un bulbo grande dalle tuniche rosacee e un sapore piuttosto dolce.

Crema fritta

Una crema pasticcera molto densa, tagliata a cubetti, passata nell’uovo e nel pangrattato e fritta in olio bollente. Il risultato sono una serie di cubetti golosi, da consumare durante il tipico aperitivo con olive all’ascolana, per bilanciare il gusto salato di quest’ultime.

Crescia

Crescia

“Crescia e acqua al mattino, polenta o erbe alla sera”: è il tradizionale detto del contadino marchigiano, che faceva di questa specialità la “regina” della dieta quotidiana, secondo quanto scriveva il periodico cattolico “L’eco del Giano” (1906). Ma non fatevi ingannare: malgrado sia da sempre considerata una pietanza povera, veniva servita anche sulle tavole delle famiglie nobiliari, a conferma della sua “trasversalità”. Gli ingredienti di base sono farina (di grano duro o di mais), uova, acqua, sale, pepe e spesso anche strutto. È diffusa in tutte le province della regione e conta numerose varianti locali, alcune della quali rivisitano completamente la ricetta.

Cutanei

Cutanèi

Gnocchetti composti da acqua, farina e poche uova, tradizionalmente conditi con ragù di carne e formaggio grattugiato, tipici di Senigallia. Oggi vengono preparati anche con le patate e serviti con anatra, coniglio o castrato.

Formaggio di fossa

Formaggio di fossa

Nasce a Sogliano, in provincia di Forlì Cesena, ma viene preparato anche in diversi comuni del Montefeltro: il formaggio di fossa è una specialità a pasta semi-dura prodotta con latte di vacca, pecora o misto. La peculiarità consiste nel fatto che, inserito in un sacchetto di tela, riposa sotto terra in grotte nella roccia o nel tufo per un periodo che va dagli 80 ai 100 giorni. In questo lasso di tempo, fermenta, perde peso e acquista aromaticità.

Galantina

Galantina

Secondo piatto di carne (solitamente pollo o gallina) originario dell’Emilia e diffuso anche nelle Marche. Una ricetta probabilmente ispirata alla ballotine francese, a base di carne d’anatra. Per realizzarla, si trita la carne di pollo fatta marinare e ammorbidire a lungo e si farcisce con affettati, uova e altre carni, si impasta cercando di conferire una forma allungata e poi si cuoce nel brodo. Si serve freddo, tagliato a fette.

Maccheroni al pettine

Maccheroni al pettine

Molto simili ai garganelli romagnoli (ma più grandi) i maccheroni vengono realizzati con un impasto all’uovo e sono così chiamati per lo strumento utilizzato per creare le righe in superficie: il pettine del telaio da tessitura, un tempo diffuso nelle case di campagna per lavorare lino e canapa.

Mistrà

Mistrà

Tipico amaro da fine pasto a base di anice verde, finocchio selvatico, mele e arance, comunemente prodotto in casa, anche se nel tempo sono nate delle versioni industriali.

Olive all'ascolana

Olive all’ascolana

Preparate con la varietà Tenera Ascolana Dop, farcita con un misto di carni arrostite e poi tritate, impastate con uovo, parmigiano grattugiato e noce moscata. Vengono fritte e servite ben calde (per assaggiarne di veramente buone, ecco la Classifica delle migliori olive all’ascolana delle Marche).

Salame di Fabriano

Salame di Fabriano

Nel comune di Fabriano, in provincia di Ancona, a dominare la scena è il tipico salame fatto con carni di maiale di razze autoctone dell’entroterra anconetano, di colore scuro. Il grasso è presente in una percentuale di circa l’8-12%. L’impasto viene condito con sale, pepe e vino bianco, e insaccato in un budello gentile, ovvero la sezione più morbida dell’intestino, quella più adatta alle lunghe stagionature e in grado di conferire una spiccata aromaticità.

Stroncatelli

Stroncatelli

Una pasta nata nella comunità ebraica di Ancona: sono gli stroncatelli, degli spaghetti lunghi e sottili a base di farina di grano duro, sale e poche uova. Peculiarità di questo formato consiste nella lavorazione: la tradizione impone a tutte le massaie di ungersi le mani con dell’olio extravergine di oliva prima di cominciare a tirare l’impasto, perché dovrà essere lavorato a lungo e sempre con le mani bagnate d’olio.

Tacconi

Tacconi

Pasta a base di farina di mais, farina di grano e acqua, che prende il nome dal termine dialettale tacca (toppa), che a sua volta ha origine dal germanico tak, ovvero “scheggia di legno”. Parola che fa riferimento alla forma imprecisa, solitamente un quadrato irregolare o romboidale. Generalmente, vengono conditi con sugo di pomodoro e ricotta.

Torcelli

Spaghetti sottilissimi a base di uova e farina, cotti in brodo oppure con una salsa di sedano e pomodoro: sono i torcelli, formati tipici della cena di chiusura del Kippùr, il giorno dell’espiazione delle festività ebraiche, consumati insieme a zucca gialla in umido e la tradizionale ciambella dolce. Un’altra ricetta tipica della comunità ebraica, che col tempo si è affermata in diverse zone della regione.

Vincisgrassi

Vincisgrassi

Celebre primo piatto della cucina marchigiana, cugino ancor più ricco e sontuoso della lasagna emiliana. I vincisgrassi sono delle sfoglie di pasta di grano duro, farina 00, burro e Marsala sbollentate e poi stese ad asciugare, prima di essere farcite a strati (proprio come una lasagna) con ragù di pollo e funghi, per essere infine cotte in forno. Tipiche della zona del maceratese, queste sfoglie vengono spesso condite anche con un intingolo di frattaglie oppure, soprattutto in passato, con il tartufo bianco di Acqualagna.

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 A pochi giorni dal provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri, che sancisce il divieto di produzione, commercializzazione, importazione del cibo sintetico, la Casciotta d'Urbino DOP, dal Vinitaly di Verona, con l’incontro dal titolo ‘La Bellezza è nel Gusto’, nello spazio di Food Brand Marche, mira a ribadire l’importanza del cibo tradizionale, capace di rispettare la natura degli alimenti e di chi ne fa uso.L’obiettivo è anche quello di sottolineare la rilevanza degli allevamenti per l’economia del territorio e per la tutela delle tradizioni e della biodiversità, come dell’intera filiera alimentare delle Marche, con il suo patrimonio di tradizioni e saperi locali quali garanzia dell’assoluta bontà e genuinità dei prodotti nonché per la tutela della salute dei cittadini.“Una Casciotta d'Urbino Dop - secondo Paolo Cesaretti, Coordinatore del Consorzio Tutela - è molto più di un semplice alimento. Può suscitare emozioni come scoperta, brivido, stupore, sogno, prodigio, affinità e adorazione, ma anche, sebbene raramente, delusione e disappunto. Se non avesse tutte queste sfumature, non sarebbe altro che un comune cibo”.“Il cibo sintetico - dichiara l’on. Mirco Carloni, Presidente della XIII Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati - oltre al fatto che non può essere paragonato ai nostri prodotti della tradizione, è una grande menzogna. Per produrlo in laboratorio si devono uccidere comunque degli animali. E non è nemmeno più sostenibile. Il governo ha fatto bene a imporre il divieto - con il provvedimento approvato in Consiglio dei ministri - di vendere, importare, produrre e distribuire questo alimento. È necessario tutelare la nostra dieta mediterranea difendendola da queste nuove invenzioni che tendono a ingannare il consumatore”.Tommaso Di Sante, Presidente Coldiretti Pesaro e Urbino, difende il cibo vero da agricoltura vera: “Il cibo è un bene prezioso e di tutti ed è legato alla storia e alla cultura di un paese. Sicuri che danneggerebbe l’economia e l’immagine del made in Italy nel mondo, con il rischio di monopolio da parte di alcune grandi industrie del settore, il cibo sintetico metterebbe a rischio anche la salute dell’uomo, dato che non conosciamo con certezza gli effetti a lungo termine. La dieta mediterranea italiana rappresenta un patrimonio da valorizzare in quanto modello salutare per eccellenza e di rigoroso rispetto del territorio e della biodiversità”.Francesco Torriani, Presidente Consorzio Marche Biologiche: “Bene prendere posizione contro la produzione delle carni sintetiche, contraria a un modello produttivo che è molto lontano dalla nostra cultura e da un modello produttivo legato alla filiera agricola, ma attenzione a non usare strumentalmente il tema della produzione delle carni sintetiche per non affrontare il vero argomento che invece, come sistema agroalimentare italiano, ci coinvolge direttamente e verso il quale abbiamo le nostre responsabilità ovvero quali politiche di sviluppo prevediamo per la nostra zootecnia e per i nostri allevamenti, in un contesto dove diventano sempre più evidenti gli effetti negativi della crisi climatica e ambientale e dove le sensibilità culturali ed etiche dei consumatori ci chiedono sempre più sostenibilità ambientale e benessere animale? E’ evidente allora che la questione delle carni sintetiche deve diventare l’occasione non solo per dire no ad un modello produttivo totalmente avulso dall’agricoltura, ma anche per promuovere e qualificare ulteriormente il nostro modello produttivo zootecnico e renderlo sempre più sostenibile e in linea con le esigenze dei consumatori”.Anastasia Ciotti del Consorzio Tutela Oliva Ascolana del Piceno Dop: “L’Oliva Ascolana del Piceno Dop non ha nulla a che vedere con il cibo sintetico. E’ un prodotto principe di un piatto della tradizione antica ascolana, che contraddistingue la nostra città e mai potrà essere modificata introducendo nella ricetta fake - food”.Nata dal latte (ovino 70-80% e vaccino 30-20%) di animali liberi, sani e felici, lavorata ad arte da maestri casari, veri custodi delle nostre tipicità gastronomiche e dell'ambiente, la Casciotta d’Urbino Dop, regina della tavola sin dal ‘500, è un’eccellenza agroalimentare italiana e marchigiana, simbolo della provincia di Pesaro e Urbino, il primo formaggio ad aver conquistato la Denominazione di Origine Protetta. Protagonista di una storia d’amore secolare con il suo ambasciatore più illustre, Michelangelo Buonarroti, spicca per la sua “strana” lettera S. Una storpiatura che, si dice, sia dovuta a un errore di trascrizione di un impiegato ministeriale e che la differenzia dai formaggi che, come lei, derivano il loro termine identificativo dall'antico "cascio", variante linguistica territoriale del più diffuso "cacio".La Casciotta d’Urbino Dop divenne una specialità distintiva marchigiana con il Signore del Ducato di Urbino, Federico da Montefeltro, che decise di proteggere il suo territorio dalle scorrerie dei pastori transumanti agevolando l’uso dei pascoli per gli allevatori locali. La produzione di piccole forme rotonde, morbide e dal sapore delicato si affinò fino ad arrivare agli anni ’60 del secolo scorso quando le “vergare”, donne di casa del pesarese dedite all’allevamento del bestiame, composero la ricetta. Per tutelarne l’eccellenza, al Disciplinare si affianca il Consorzio di Tutela Casciotta d’Urbino Dop che si occupa anche della sua promozione e valorizzazione.Anche il gusto è altrettanto inconfondibile: dolce e delicata, ha il sapore del burro e del latte fresco col quale viene prodotta. Friabile e molle, all’olfatto è fragrante e aromatica. Una vera perla, versatile e perfetta per impreziosire le ricette …e le colazioni più diverse!"Preparare un piatto - conclude Paolo Cesaretti - richiede creatività, altruismo. Coinvolge i cinque sensi: gusto, olfatto, udito, vista e tatto, che si combinano sapientemente e si amalgamano insieme. È compito di Otello Renzi, animo magnanimo, generoso e piacevolmente epicureo, trasformare ciò in arte. Creare questo piatto di spaghetti biologici, Casciotta d'Urbino e olive Ascolana del Piceno facendone un incantesimo, abbinandolo al vino Bianchello”.L'evento, moderato dalla giornalista Veronique Angeletti, è a cura del Consorzio Tutela Casciotta d’Urbino Dop, che, sin dalla sua nascita, ha avuto il merito di aver recuperato e diffuso su ampia scala la preparazione della Casciotta d’Urbino e la sua tradizione storica.
Il carnevale di Offida
Il carnevale di Offida
Il carnevale di Offida (in dialetto offidano "Lu bov fint" e "Li Vlurd") è lo storico carnevale che si svolge nell'omonima cittadina marchigiana in provincia di Ascoli Piceno.La concezione del Carnevale è profondamente radicata nella popolazione offidana, tanto che le feste carnevalesche tendono ad avere un carattere di ritualità, che permea l'intera città.Anche se si respira un'immancabile aria di modernismo specie nella musica e nei balli, la memoria storica del Carnevale, in quelle sue tradizioni particolari, rimane e cerca di perpetuarsi nelle nuove generazioni.Il Carnevale offidano si svolge ogni anno secondo un rituale fissato dalla tradizione: inizia ufficialmente il 17 gennaio, giorno di Sant'Antonio Abate, e termina il giorno delle Ceneri.Il giorno della "Domenica degli Amici", che precede di due settimane il carnevale, la fanfara della "Congrega del Ciorpento" esce rumorosa dal portone del cinquecentesco palazzo Mercolini per annunciare che si è entrati in pieno clima carnevalesco.Le Congreghe, che hanno lo scopo di aggregare, tra loro, in genere parenti e amici, desiderose di partecipare alla baldoria carnevalesca, iniziano il giro del paese a ritmo di musica sempre più incalzante in prossimità del clou della festa.Esse hanno un ruolo fondamentale nello svolgimento dell'evento, la mattina del Giovedì Grasso ricevono in consegna, dal Sindaco, le chiavi della città e, da quel momento, il paese è simbolicamente nelle loro mani, così che tra allegria ed euforia le congreghe si impossessano della città.Piazza del Popolo, nel bove finto 2016Seguono i "veglionissimi" del sabato, domenica e lunedì presso Il Teatro Serpente Aureo, la mascherata dei bambini del giovedì grasso, la caccia a "Lu Bov Fint" (il bove finto) del venerdì, la festa in piazza che dura tutto il pomeriggio del martedì grasso che si conclude con la fantasmagorica sfilata dei "Vlurd".Persone dei paesi vicini e turisti, per l'occasione, giungono ad Offida, non per assistere da spettatori a sfilate di grandiosi carri allegorici, ma per essere coinvolti in un'autentica festa di popolo dove, quasi attori di rappresentazioni il cui valore simbolico cede più a quello reale delle forze vitali e istintive.L'ultimo giorno (martedì grasso) di Carnevale tutti in Offida si mascherano, alcuni sbucando da ogni parte con indosso il tipico "guazzarò" (saio di tela bianca con fazzoletto rosso al collo), altri mascherati con costumi più diffusi ma col viso tinto di vari colori, per inondare la piazza e scorrazzare per le strade tra urla, danze, scherzi di ogni sorta e lanci di coriandoli.Centinaia di uomini e donne mascherati, con lunghi fasci di canne accesi sulle spalle, in fila indiana, tra urla e danze selvagge, percorrono il Corso che sembra uno strisciante serpente fiammeggiante, quindi inondano la piazza principale al cui centro dispongono i "bagordi" ancora in fiamme; le maschere come impazzite corrono a cerchio intorno al falò mentre urla e canti si fondono tra vortici di fumo e miriadi di scintille di fuoco brillanti nell'aria. Quando il fuoco pagano che incendia la piazza con il rito bacchico dei "Vlurd" si spegne, torna sovrano il silenzio, foriero di pace quaresimale.