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IL FUOCO DELLA VENUTA

IL FUOCO DELLA VENUTA
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Giovanni Battista Mariani

Loreto e la tradizione dei Fuochi della Venuta

A meno che non siete di Loreto o dintorni, vi sfidiamo a rispondere a questa domanda: sapete cosa sono i Fuochi della Venuta? Vi diamo un aiutino: si tratta di una tradizione antichissima, o meglio di qualcosa dal sapore profondamente religioso. Un altro aiutino? Invece di fuochi potete aver sentito parlare di “focheracci”, “faoni”, “fogarò”, o “foghère”, oppure “faori” (favori), che sembra rievocare l’aiuto di Dio sui suoi fedeli. Vi abbiamo incuriosito? Allora leggetevi questo post blog, che vi svelerà un pezzo importante del “cuore mariano della cristianità” (Giovanni Paolo II).

piazza colma di pellegrini con processione e, al centro, il presepe
La processione in piazza durante la Festa della Venuta

Cos’è la Festa della Venuta

La Festa della Venuta della Santa Casa, il 9 dicembre, rappresenta un’importante ricorrenza per Loreto che si veste a festa soprattutto nella Piazza della Madonna. Si tratta di una rievocazione storica che celebra il trasporto nella città mariana della Santa Casa; nelle campagne intorno alla città mariana si accendono fuochi e falò e tutte le campane delle parrocchie suonano a festa, mentre in Piazza della Madonna si tiene la veglia di preghiera. Il momento culminante è alle 3 di notte, l’ora in cui si riteneva che le tre pareti fossero approdate nel punto in cui ancora si trovano.

Facciata della Basilica della Santa Casa illuminata in occasione di una precedente Festa della Venuta
La Basilica della Santa Casa illuminata in occasione di una precedente Festa della Venuta (Foto Ionut Burloiu)

Ancora oggi la tradizione religiosa dei Fuochi della Venuta, perpetrata anche nei comuni lungo la Via Lauretana, viene accompagnata dai bagliori diffusi nella campagne che contribuiscono a creare atmosfera mistica, coinvolgendo intere famiglie.

E’ infatti usanza comune mettere fuori dalle finestre lumi accesi per indicare simbolicamente la strada degli angeli trasportatori, mentre nei “fogarò” o “fogaroni” gli uomini accendono ancora oggi fuochi pirotecnici, con le donne intente ad offrire ai presenti vino e carne alla griglia, recitando il Santo Rosario e cantando le litanie lauretane.

Grande falò con intorno persone
Uno dei “focaracci” accesi durante i Fuochi della Venuta

Quando le fiamme – accese alla mezzanotte – si spengono, l’usanza vuole che i giovani le saltassero per purificarsi, ballando poi tutto intorno fino allo spegnimento naturale. Il ‘tizzo’ raccolto da quei bracieri era considerato un potente talismano, capace di annullare le azioni malefiche delle streghe.

Tra tradizione, leggenda e… sacre scritture

Nella storia del Cristianesimo si narra che gli abitanti di Loreto, per un’enorme gratitudine verso Dio, cominciarono ad accendere i fuochi d’allegrezza per illuminare la notte tra il 9 e il 10 dicembre, proprio perché in quella notte, nel 1294, il luogo sacro dove la Madonna nacque, visse e ricevette l’annuncio dell’arcangelo Gabriele, fu trasportato da Nazareth alle Marche (prima a Posatora di Ancona, poi nella selva della signora Loreta e sul campo di due fratelli, e infine sulla pubblica via che attraversava la sommità del Monte Prodo, il colle lauretano, dove si trova tutt’ora).

Questi fuochi, a partire dal 1617, accesero le campagne della zona, proprio con l’intento di guidare, con la luce dei falò, il cammino e l’attesa della “Venuta”, ovvero dell’arrivo della Santa Casa di Nazaret, ed oggi viene riproposto in molte comunità delle Marche.

Interno edificio Santa Casa di Nazareth, a destra, Madonna di Loreto portata in processione
L’interno della Santa Casa di Nazareth e, a destra, un momento della Madonna di Loreto portata in processione

Secondo gli storici, invece, la casa di Maria venne portata a Loreto su iniziativa della nobile famiglia Angeli, ma per certo la veridicità della casa è stata attestata negli anni da numerose prove storiche e archeologiche che hanno confermato la loro origine palestinese risalente ai tempi di Gesù.

La Traslazione della Santa Casa di Loreto

La Traslazione della Santa Casa si festeggia il 10 dicembre, ma la notte prima la città è in veglia proprio per la Venuta, ovvero il momento in cui la Traslazione miracolosa, avvenuta per mano angelica, ha fatto sì che le tre pareti integre della Santa Casa di Nazareth (dove visse Gesù e la sua famiglia) arrivassero sul colle lauretano. I fatti risalgono al 1296, anche se il misterioso viaggio della Santa Casa iniziò già nel 1291, contemplando in totale ben cinque traslazioni, di cui una a Tersatto (in Croazia) e le altre tra Ancona e Recanati.

Affresco Traslazione Santa Casa di Loeto con la Madonna portata in volo dagli angeli
La “Traslazione”, di Francesco Foschi

La casa, trasportata da bellissimi angeli, si posò su un colle coperto da un bel bosco di lauri. Intorno alla casa di Nazareth sorse una cittadina denominata, dalla vegetazione presente, Loreto. Una tradizione popolare narra che i pini posti lungo i margini della strada adriatica, da Civitanova a Loreto, si siano chinati al passaggio della Casa e siano rimasti così, riverenti verso la Santa Casa.

Per capire il perché della Traslazione bisogna aggiungere che a Nazareth, sempre secondo la tradizione, l’abitazione era in qualche modo protetta dalla costruzione di una chiesa, ma i venti di guerra e i Saraceni abbatterono l’edificio religioso e si preparavano a distruggere l’abitazione di Maria.

Fu allora che alcuni angeli la sollevarono e la portarono in Croazia (12 maggio 1291) per poi spostarla nuovamente presso Recanati, in un bosco infestato da pericolosi briganti (2 dicembre 1294). Da lì arrivò al possedimento dei fratelli Antici, che però non seppero rendersi degni della grazia ricevuta, tant’è che si impossessavano delle offerte dei pellegrini e litigavano tra loro per dividersele.

A questo punto gli angeli realizzarono l’ultima Traslazione, e a sua protezione venne eretto un forte muro, detto dei recanatesi, per difendere la costruzione dalle intemperie e dal degrado del suolo. Oggi una splendida e maestosa basilica ospita al suo interno la Santa Casa: tutto intorno alle mura originali è presente un lastricato contraddistinto da un “solco”, scavato naturalmente dalle centinaia di migliaia di pellegrini che lì si inginocchiano per pregare.

La preghiera, le lodi e l’atmosfera festosa quanto devota caratterizzano ancora oggi la Festa e i Fuochi della Venuta.

La Santa Casa di Loreto
La Santa Casa di Loreto e, a destra, i solchi scavati dai pellegrini
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 A pochi giorni dal provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri, che sancisce il divieto di produzione, commercializzazione, importazione del cibo sintetico, la Casciotta d'Urbino DOP, dal Vinitaly di Verona, con l’incontro dal titolo ‘La Bellezza è nel Gusto’, nello spazio di Food Brand Marche, mira a ribadire l’importanza del cibo tradizionale, capace di rispettare la natura degli alimenti e di chi ne fa uso.L’obiettivo è anche quello di sottolineare la rilevanza degli allevamenti per l’economia del territorio e per la tutela delle tradizioni e della biodiversità, come dell’intera filiera alimentare delle Marche, con il suo patrimonio di tradizioni e saperi locali quali garanzia dell’assoluta bontà e genuinità dei prodotti nonché per la tutela della salute dei cittadini.“Una Casciotta d'Urbino Dop - secondo Paolo Cesaretti, Coordinatore del Consorzio Tutela - è molto più di un semplice alimento. Può suscitare emozioni come scoperta, brivido, stupore, sogno, prodigio, affinità e adorazione, ma anche, sebbene raramente, delusione e disappunto. Se non avesse tutte queste sfumature, non sarebbe altro che un comune cibo”.“Il cibo sintetico - dichiara l’on. Mirco Carloni, Presidente della XIII Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati - oltre al fatto che non può essere paragonato ai nostri prodotti della tradizione, è una grande menzogna. Per produrlo in laboratorio si devono uccidere comunque degli animali. E non è nemmeno più sostenibile. Il governo ha fatto bene a imporre il divieto - con il provvedimento approvato in Consiglio dei ministri - di vendere, importare, produrre e distribuire questo alimento. È necessario tutelare la nostra dieta mediterranea difendendola da queste nuove invenzioni che tendono a ingannare il consumatore”.Tommaso Di Sante, Presidente Coldiretti Pesaro e Urbino, difende il cibo vero da agricoltura vera: “Il cibo è un bene prezioso e di tutti ed è legato alla storia e alla cultura di un paese. Sicuri che danneggerebbe l’economia e l’immagine del made in Italy nel mondo, con il rischio di monopolio da parte di alcune grandi industrie del settore, il cibo sintetico metterebbe a rischio anche la salute dell’uomo, dato che non conosciamo con certezza gli effetti a lungo termine. La dieta mediterranea italiana rappresenta un patrimonio da valorizzare in quanto modello salutare per eccellenza e di rigoroso rispetto del territorio e della biodiversità”.Francesco Torriani, Presidente Consorzio Marche Biologiche: “Bene prendere posizione contro la produzione delle carni sintetiche, contraria a un modello produttivo che è molto lontano dalla nostra cultura e da un modello produttivo legato alla filiera agricola, ma attenzione a non usare strumentalmente il tema della produzione delle carni sintetiche per non affrontare il vero argomento che invece, come sistema agroalimentare italiano, ci coinvolge direttamente e verso il quale abbiamo le nostre responsabilità ovvero quali politiche di sviluppo prevediamo per la nostra zootecnia e per i nostri allevamenti, in un contesto dove diventano sempre più evidenti gli effetti negativi della crisi climatica e ambientale e dove le sensibilità culturali ed etiche dei consumatori ci chiedono sempre più sostenibilità ambientale e benessere animale? E’ evidente allora che la questione delle carni sintetiche deve diventare l’occasione non solo per dire no ad un modello produttivo totalmente avulso dall’agricoltura, ma anche per promuovere e qualificare ulteriormente il nostro modello produttivo zootecnico e renderlo sempre più sostenibile e in linea con le esigenze dei consumatori”.Anastasia Ciotti del Consorzio Tutela Oliva Ascolana del Piceno Dop: “L’Oliva Ascolana del Piceno Dop non ha nulla a che vedere con il cibo sintetico. E’ un prodotto principe di un piatto della tradizione antica ascolana, che contraddistingue la nostra città e mai potrà essere modificata introducendo nella ricetta fake - food”.Nata dal latte (ovino 70-80% e vaccino 30-20%) di animali liberi, sani e felici, lavorata ad arte da maestri casari, veri custodi delle nostre tipicità gastronomiche e dell'ambiente, la Casciotta d’Urbino Dop, regina della tavola sin dal ‘500, è un’eccellenza agroalimentare italiana e marchigiana, simbolo della provincia di Pesaro e Urbino, il primo formaggio ad aver conquistato la Denominazione di Origine Protetta. Protagonista di una storia d’amore secolare con il suo ambasciatore più illustre, Michelangelo Buonarroti, spicca per la sua “strana” lettera S. Una storpiatura che, si dice, sia dovuta a un errore di trascrizione di un impiegato ministeriale e che la differenzia dai formaggi che, come lei, derivano il loro termine identificativo dall'antico "cascio", variante linguistica territoriale del più diffuso "cacio".La Casciotta d’Urbino Dop divenne una specialità distintiva marchigiana con il Signore del Ducato di Urbino, Federico da Montefeltro, che decise di proteggere il suo territorio dalle scorrerie dei pastori transumanti agevolando l’uso dei pascoli per gli allevatori locali. La produzione di piccole forme rotonde, morbide e dal sapore delicato si affinò fino ad arrivare agli anni ’60 del secolo scorso quando le “vergare”, donne di casa del pesarese dedite all’allevamento del bestiame, composero la ricetta. Per tutelarne l’eccellenza, al Disciplinare si affianca il Consorzio di Tutela Casciotta d’Urbino Dop che si occupa anche della sua promozione e valorizzazione.Anche il gusto è altrettanto inconfondibile: dolce e delicata, ha il sapore del burro e del latte fresco col quale viene prodotta. Friabile e molle, all’olfatto è fragrante e aromatica. Una vera perla, versatile e perfetta per impreziosire le ricette …e le colazioni più diverse!"Preparare un piatto - conclude Paolo Cesaretti - richiede creatività, altruismo. Coinvolge i cinque sensi: gusto, olfatto, udito, vista e tatto, che si combinano sapientemente e si amalgamano insieme. È compito di Otello Renzi, animo magnanimo, generoso e piacevolmente epicureo, trasformare ciò in arte. Creare questo piatto di spaghetti biologici, Casciotta d'Urbino e olive Ascolana del Piceno facendone un incantesimo, abbinandolo al vino Bianchello”.L'evento, moderato dalla giornalista Veronique Angeletti, è a cura del Consorzio Tutela Casciotta d’Urbino Dop, che, sin dalla sua nascita, ha avuto il merito di aver recuperato e diffuso su ampia scala la preparazione della Casciotta d’Urbino e la sua tradizione storica.
Il carnevale di Offida
Il carnevale di Offida
Il carnevale di Offida (in dialetto offidano "Lu bov fint" e "Li Vlurd") è lo storico carnevale che si svolge nell'omonima cittadina marchigiana in provincia di Ascoli Piceno.La concezione del Carnevale è profondamente radicata nella popolazione offidana, tanto che le feste carnevalesche tendono ad avere un carattere di ritualità, che permea l'intera città.Anche se si respira un'immancabile aria di modernismo specie nella musica e nei balli, la memoria storica del Carnevale, in quelle sue tradizioni particolari, rimane e cerca di perpetuarsi nelle nuove generazioni.Il Carnevale offidano si svolge ogni anno secondo un rituale fissato dalla tradizione: inizia ufficialmente il 17 gennaio, giorno di Sant'Antonio Abate, e termina il giorno delle Ceneri.Il giorno della "Domenica degli Amici", che precede di due settimane il carnevale, la fanfara della "Congrega del Ciorpento" esce rumorosa dal portone del cinquecentesco palazzo Mercolini per annunciare che si è entrati in pieno clima carnevalesco.Le Congreghe, che hanno lo scopo di aggregare, tra loro, in genere parenti e amici, desiderose di partecipare alla baldoria carnevalesca, iniziano il giro del paese a ritmo di musica sempre più incalzante in prossimità del clou della festa.Esse hanno un ruolo fondamentale nello svolgimento dell'evento, la mattina del Giovedì Grasso ricevono in consegna, dal Sindaco, le chiavi della città e, da quel momento, il paese è simbolicamente nelle loro mani, così che tra allegria ed euforia le congreghe si impossessano della città.Piazza del Popolo, nel bove finto 2016Seguono i "veglionissimi" del sabato, domenica e lunedì presso Il Teatro Serpente Aureo, la mascherata dei bambini del giovedì grasso, la caccia a "Lu Bov Fint" (il bove finto) del venerdì, la festa in piazza che dura tutto il pomeriggio del martedì grasso che si conclude con la fantasmagorica sfilata dei "Vlurd".Persone dei paesi vicini e turisti, per l'occasione, giungono ad Offida, non per assistere da spettatori a sfilate di grandiosi carri allegorici, ma per essere coinvolti in un'autentica festa di popolo dove, quasi attori di rappresentazioni il cui valore simbolico cede più a quello reale delle forze vitali e istintive.L'ultimo giorno (martedì grasso) di Carnevale tutti in Offida si mascherano, alcuni sbucando da ogni parte con indosso il tipico "guazzarò" (saio di tela bianca con fazzoletto rosso al collo), altri mascherati con costumi più diffusi ma col viso tinto di vari colori, per inondare la piazza e scorrazzare per le strade tra urla, danze, scherzi di ogni sorta e lanci di coriandoli.Centinaia di uomini e donne mascherati, con lunghi fasci di canne accesi sulle spalle, in fila indiana, tra urla e danze selvagge, percorrono il Corso che sembra uno strisciante serpente fiammeggiante, quindi inondano la piazza principale al cui centro dispongono i "bagordi" ancora in fiamme; le maschere come impazzite corrono a cerchio intorno al falò mentre urla e canti si fondono tra vortici di fumo e miriadi di scintille di fuoco brillanti nell'aria. Quando il fuoco pagano che incendia la piazza con il rito bacchico dei "Vlurd" si spegne, torna sovrano il silenzio, foriero di pace quaresimale.