MONTE VETTORE – 2.476 MT
Il Monte Vettore (dal latino Victor, vincitore) è il rilievo montuoso più alto dei Sibillini, con i suoi 2.476 metri di altitudine. Durante il Pleistocene superiore (da 125.000 a 10.000 anni fa) il ghiacciaio ha trascinato in avanti detriti morenici che hanno generato uno sbarramento naturale creando un circo glaciale che oggi ospita il Lago di Pilato.
È situato nell’appennino umbro-marchigiano al confine tra Umbria e Marche. La sua vetta, che si trova nel territorio della regione Marche, è la più alta di un arco montuoso che ha una caratteristica forma ad “U” e che comprende, seguendo l’arco da ovest a est, Quarto San Lorenzo, Cima del Redentore (2448 m), Cima del Lago, il Vettore stesso, Monte Vettoretto (2032 m) e Monte Torrone (2102 m).
Sulla pendice nord del monte Vettore, nella conca naturale abbracciata dall’arco montuoso, a 1.941 metri di quota si trova il Lago di Pilato. Sebbene le sue dimensioni non superino i 500 metri di diametro, il Lago di Pilato è di grande interesse tra i naturalisti e i biologi. Ospita tuttora un endemismo peculiare, una specie autoctona di gambero: il Chirocefalo del Marchesoni. Questo gamberetto, dal colore rossastro, raggiunge una lunghezza di 9-12 mm e si muove nuotando all’indietro con il ventre rivolto verso l’alto. Fu scoperto dal Prof. Marchesoni durante il corso di studi e ricerche.
La facciata esterna dell’arco montuoso invece domina il Pian Grande di Castelluccio di Norcia, una vallata ricca di coltivazioni di lenticchia, legume caratteristico del luogo.
Dalla vetta del monte si può ammirare in giornate limpide il Gran Sasso a sud-est e il Terminillo a sud-ovest, il litorale marchigiano e l’Adriatico ad est.
Sulle pendici sud del monte si trova, a quota 2.238 m s.l.m., il rifugio Tito Zilioli gestito dal C.A.I.
Il Monte Vettore presenta una fascia trasversale di ghiaia che è detta la strada delle fate. La leggenda popolare narra che una volta, le fate, si siano fermate più a lungo a danzare con i giovani di Pretare e che per non essere sorprese all’alba, fuggirono con tanta precipitazione da lasciare le loro impronte sulla montagna, creando così la loro strada. Il racconto è noto sia agli studiosi delle tradizioni popolari che ai valligiani.
A Pretare, paese che appartiene al comune di Arquata del Tronto, posto alle falde del Monte Vettore, nel giorno della ricorrenza san Rocco si fa rivivere quest’antica ed originale leggenda. Un gruppo di giovani donne, vestite da fate, raggiunge lentamente il centro del paese da una strada di campagna, e arrivate alla piazza danno inizio alle danze.
Dalla mitologia apprendiamo che i monti Sibillini furono considerati luoghi abitati da divinità buone e cattive. La presenza di caverne e antri misteriosi erano considerati accesso al regno dell’oltretomba, come quello di cui ci parla Virgilio nel sesto canto dell’Eneide.
Il Monte Sibilla, vicino al monte Vettore, fu sede di culto pagano ed orgiastico di Cibele, la grande Madre degli dei; culto che si diffuse all’epoca di Claudio. Con l’avvento del Cristianesimo al posto di Cibele subentrò il culto della Sibilla che una tradizione ancora in uso nel XIV secolo identifica come la Sibilla Cumana.
Studi più recenti la classificano come Sibilla Appenninica, non citata nell’elenco delle undici dello scrittore reatino Marco Terenzio Varrone. Passando attraverso una lenta e progressiva trasformazione della figura della Sibilla si arrivò alla fata Alcina ed alla sua corte.
La leggenda originaria fu rielaborata anche nel XIX secolo da Richard Wagner nel suo Tannhäuser.